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La Collezione d’Arte
Carlo Sbisà
Santa Cecilia
Olio su tela, cm 106 x 81,6

 

Certamente con Cesare Sofianopulo, Arturo Nathan e Leonor Fini (con questi ultimi espone nel 1929 a Milano, presentati nientemeno che da Silvio Benco), Carlo Sbisà rappresenta una voce imponente nel panorama artistico triestino e pittore capace di ritagliarsi uno spazio non marginale nel gruppo di Novecento, specie per le mostre internazionali alle quali aderì con sistematica e lucida attenzione, dapprima sotto la guida di Margherita Sarfatti e Cipriano Efisio Oppo e in seguito di Antonio Maraini. Per un qualsivoglia profilo dell’artista, le opere della Fondazione diventano ineludibili per la loro importanza e, infatti, sono sempre considerate tali negli studi più attenti dedicati al pittore. La Santa Cecilia è opera del 1931; da subito premiata, nello stesso anno, all’Esposizione internazionale d’arte sacra di Padova, trovò in Carlo Carrà un estimatore piuttosto freddo “…è ben condotta formalmente ma di un’espressione pittorica un po’ vecchina”. Venne in seguito esposta, nel 1932, anche a Trieste e acquistata quindi dalla Cassa di Risparmio. E’ un’opera importante non solo per la classicità stemperata in un lume naturale come è tipico dello Sbisà in questa fase degli anni Trenta, ma per la natura morta che fa capolino in primo

piano, utilizzata da qui in avanti in molte composizioni come soluzione ideale. Le due terracotte maiolicate rosse raffiguranti San Giorgio e Atteone, appartengono alla produzione degli anni Cinquanta, allorquando Sbisà scelse (dal 1946), in totale controtendenza, di dedicarsi pure alla scultura e alla ceramica; risalgono, le due opere della Fondazione, alla fine del 1958 e gli inizi del 1959 quando vennero esposte alla galleria Comunale e recensite da Francesco Tenze sul Gazzettino il 19 maggio: “Tornando alla maiolica, la misura dei pieni e dei vuoti nel San Giorgio e nell’Atteone rompe le formulazioni plastiche per mezzo di elementi tessuti nella trama ottica che si riflette poi sul colore”.

Il Giocoliere chiude sostanzialmente la parabola artistica ed esistenziale di Sbisà, essendo realizzato nel 1960, quando l’ormai maturo artista dedicava anima e corpo al progetto della Scuola libera dell’acquaforte, che lui stesso fondò nel 1961. E’ un’opera che non può prescindere dalla pratica della lavorazione di materiali come la ceramica e la maiolica ma anche dalla consuetudine con l’oreficeria che Sbisà praticava già in giovanissima età; il Giocoliere pare, infatti, realizzato come un primitivo monile.

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