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La Collezione d’Arte
Bruno Croatto
Natura morta con boccaletta
Olio su tela, cm 46,1 x 48,7

Da “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo

“Le prime sigarette ch’io fumai non esistono più in commercio. Intorno al ‘70 se ne avevano in Austria di quelle che venivano vendute in scatoline di cartone munite del marchio dell’aquila bicipite”.

La produzione di Bruno Croatto è documentata con pezzi significativi, nella collezione della Fondazione. Il ritratto di ragazzo, che potremmo ipotizzare essere un autoritratto giovanile, una delle prime prove a noi oggi note e non conosciute alla storiografia artistica sull’artista, venne realizzato a stretto contatto con l’ambiente monacense  – Croatto era entrato all’Accademia di Belle Arti il 20 ottobre 1893 – per una chiara impostazione frontale contrapposta ad uno sguardo allucinato. Nel 1897 egli tentava di approdare con sue opere, quasi esclusivamente pastelli,  a rassegne di carattere nazionale, come la Terza Triennale di Belle Arti di Milano o la Seconda Biennale di Venezia, città nella quale all’epoca risiedeva, “dipingendo pregevoli acquerelli che gli permettevano di guadagnare 20 franchi al giorno”, e dove realizzò questa sanguigna il 7 aprile. Siamo agli esordi di Croatto, che pare in questa fase seguire le declinazioni formali del collega e concittadino Arturo Rietti, ma che abbandonerà ben presto in favore di una ossessiva precisione e nitidezza della figurazione. Mutazione che possiamo chiaramente constatare nella resa lucida della giovane donna in abito nero del 1931, quando l’artista, ormai approdato definitivamente a Roma nel 1925 con la moglie Igea, aveva vissuto con grande passione la stagione di Valori Plastici (1920-25), un ritorno alla nettezza neoclassica con continui riferimenti nordici e preraffaelliti, e che qui ritroviamo in un tono quasi alla Ingres nonostante il fascino di un’atmosfera rarefatta. Il dipinto fu presentato all’ampia rassegna allestita tra il 1 e il 15 febbraio 1932 a Roma in piazza di Spagna presso la sede Camerata degli Artisti.

Se gli anni Trenta lo vedono soprattutto ritrattista, nei Quaranta è la natura morta a farla da padrona. Croatto mescola, e passa da purezze neerlandesi secentesche a rimandi esotici; la natura morta con grappoli d’uva si inserisce ancora nella fase migliore dell’artista, è del 1941, quella che Piero Scarpa nota “identica sia all’apparenza come nella sostanza”, e che nello stesso soggetto ripreso nel 1947 ma senza quei valori di luce. Più tarda, proprio del 1947, è invece la Natura morta con la boccaletta, dove Croatto rinuncia alla consueta descrizione vitrea degli elementi raffigurati per una più temperata resa della luce mentre, ad oggi le sue ultime ed estreme prove note, le due opere datate al 1948 lo vedono riassumere la sua poetica degli anni ’40.

Tuttavia, se la Natura morta con il leone cinese appare sorda, sovrabbondante di oggetti e di un orientalismo di maniera nonostante il soggetto ci dimostri il genuino interesse per la porcellana orientale che il pittore aveva già raffigurato, con varianti, nel Drago cinese del 1930 o nel Ritratto di donna con il ventaglio, la Natura morta con vasi di Murano è certamente un congedo raffinato, contraddistinta da una sinfonia in rosso che viene sbrigliata in quasi tutte le possibili variazioni e dove la specchiatura sulla superficie del grande vaso ci conduce verso un mondo tutto in rosso, quello riflesso.

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