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La Collezione d’Arte
Giovanni Mayer
Fragilità
Marmo, cm 39 x 20 x 23

Da “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo

La salute non analizza sé stessa e neppure si guarda allo specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi.

 

Come buona parte degli scultori italiani vissuti tra Otto e Novecento, per l’ormai maturo Giovanni Mayer degli anni ’20 e ’30, non era più eludibile la lezione del francese Auguste Rodin. I marmi in particolare, contraddistinti spesso dal basamento lasciato con il lavoro dello scalpello a vista, aprono ad un immediato spazio dove risalta una figura realizzata con perizia tecnica nell’avvalorare un effetto luministico, come si trattasse di una materia traslucida qual’è l’alabastro. Fragilità del 1930 è proprio in questa direzione che guarda; come rilevato nel catalogo generale delle opere dell’artista triestino, non ultimi appaiono ricordi della scultura belga presente alle Biennali veneziane; in questo caso pare esplicito il riferimento agli efebi nudi della Fontana degli inginocchiati di Georges Minne, scultore quest’ultimo che Mayer poté ammirare alla personale veneziana del 1926.

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